Il pellegrino e il convertito sono tipologie forti della religiosità contemporanea, che spesso vivono al di fuori delle istituzioni religiose tradizionali. Una riflessione di don Domenico Poeta.
Il nostro tempo è segnato in superficie da uno sviluppo travolgente ma, se guardiamo in profondità, traspare un bisogno spasmodico di silenzio, di meditazione, di rapporto con il corpo, con la fatica, con se stessi. C’è bisogno di relazioni, di riconoscimento, di lentezza che possa permettere l’esperienza di un tempo sacro, un tempo squarciato dall’eternità (P. Florenskij). L’uomo cerca uno spazio sacro, un orientamento, un centro.
Provo a descrivere alcuni tratti essenziali dell’esperienza del pellegrinaggio.
Visitando il meraviglioso Museum of Natural History di New York ci si può imbattere in figure di ominidi scuri la cui origine le scienze naturali fanno risalire a circa 2.000.000 di anni fa. La paleoantropologia colloca l’origine dell’homo che si distingue dalla scimmia in quell’epoca e più esattamente in Africa.
Quando l’uomo diventa erectus i suoi occhi, a differenza di quelli delle scimmie, possono osservare meglio la volta celeste. L’uomo inizia a sognare quel mondo celeste e si mette in cammino, in tensione verso qualcosa che non è ancora riuscito a raggiungere; possiamo dire che il cielo diventa la vera meta della sua ricerca.
Perché le scimmie non hanno camminato fin qui? Cosa è successo?
Oggi possiamo affermare che quando il primo essere umano è comparso sulla faccia della terra si è trattato da subito di un homo religiosus, viator (Gabriel Marcel), con le “radici in cielo” (Platone).
Le alture divengono i primi luoghi di culto. Le altezze simboleggiano fortemente il desiderio umano di raggiungere il cielo.
Le prime costruzioni stabili dell’uomo, prima ancora che la casa, sembrano essere state quelle sacre, gli altari, i menhir, i luoghi di culto.
L’ “abitare” viene prima del “costruire” (Martin Heidegger, Costruire, pensare, abitare) e l’abitare dell’uomo è sempre religioso. L’archetipo “casa” si realizza come recinto sacro per difendersi dalla vastità della natura e prevede dei miti e dei riti ben precisi (Mircea Eliade, I riti del costruire).
L’architettura sacra
Le città, fin dalla loro nascita, hanno sempre un centro e quel centro è occupato dal luogo di culto più significativo, il tempio, nel medioevo la cattedrale, se possibile in posizione apicale, sulla sommità di un monte. Il campanile è a punta, diretto verso il cielo, la torre civica è a forma di fiore, guarda verso le cose terrene. Ogni città interpreta se stessa come un centro del mondo da cui passa un asse sacro intorno al quale ruota tutta la realtà (Mircea Eliade, Il sacro e il profano). Il cielo ritorna al centro della città con l’edificio sacro. La cupola, immagine della volta celeste, è comune alle architetture sacre di quasi tutte le religioni; la si può ritrovare nella cattedrale come nella stupa buddhista, nella moschea come nella sinagoga.
In cammino verso i luoghi sacri
Il pellegrinaggio alle città e ai luoghi sacri è un’esperienza comune a tutte le religioni, nessuna esclusa, è un gesto primordiale, esprime la natura profonda dell’uomo che è homo viator, essere in cammino verso il cielo, polvere di stelle, della stessa sostanza chimica dei corpi celesti. Così nel vangelo di Matteo troviamo i Magi, pagani al seguito della stella, come icona biblica del cammino dell’uomo.
Il pellegrinaggio diventa per gli uomini di ogni luogo e di ogni tempo una metafora della vita, ma non nel senso che ogni uomo cammina. Nel senso che il cammino ci precede e ci sovrasta. La vita è come una medaglia che ha due facce. La prima faccia è quella che vediamo tutti, è quella delle cose che si vedono e che si toccano. La seconda faccia è quella del cammino preparato per noi, è la faccia che abbiamo nel sottosuolo (Dostoevskij), nel profondo, dove abita Dio in noi, più intimo a me di me stesso (S. Agostino). Per questo è più importante camminare che essere arrivati perché da questa parte del mondo la nostra natura non è mai quella di chi è già arrivato, degli epopti, quelli che vedono Dio, ma piuttosto quella di “uomini fiaccola” (Thomas Merton), già e non ancora nel fuoco della liturgia celeste. La nostra natura è essenzialmente una natura di relazione e anche presso Dio non troveremo il dio dei filosofi, il motore immobile, troveremo una personalità relazionale, dinamica, trinitaria, di amore scambievole per l’eternità.
I primi pellegrinaggi cristiani non furono pellegrinaggi a città sacre della cristianità o a chiese famose perché nei primi secoli non ve ne erano. I primi pellegrinaggi cristiani furono dei pellegrinaggi alle tombe dei martiri. Fino al IV° secolo non esistevano chiese edificate e i primi luoghi di culto dei cristiani nascono nelle case, domus ecclesiae, o con degli altari costruiti sulla tomba del martire, memoriali della confessione e dell’uccisione di un martire, costruiti sopra la sepoltura di un confessore della fede. Il martyrion da tomba del martire diventa un altare e un luogo di culto. Fin dal III° secolo, a Roma, i principali luoghi di culto edificati sulle tombe dei martiri diventarono dei tituli, luoghi col titolo/nome del martire, i tituli principali diventano dei cardines, i presbiteri che facevano capo ai tituli-cardines diventarono “presbiteri cardinali”, i principali collaboratori del vescovo di Roma, il Papa.
Dopo la pace costantiniana hanno inizio i grandi pellegrinaggi verso la Terra Santa. Alcuni pellegrini racconteranno delle liturgie incontrate lungo il cammino, a Costantinopoli, a Gerusalemme. E’ famoso il racconto del viaggio in Terra Santa di Eteria (o Egeria), una pellegrina della Gallia vissuta tra il IV° e il V° secolo. Le descrizioni delle liturgie stazionali della Settimana Santa a Gerusalemme, del Giovedì Santo presso il Cenacolo, del Venerdì Santo alla cappella dell’orto degli ulivi, della Pasqua al Santo Sepolcro, diverranno la base cultuale per strutturare i riti della Pasqua anche presso le altre chiese. I pellegrini daranno così un forte impulso allo sviluppo della liturgia così come la conosciamo noi, grazie alla contaminazione liturgica di tradizioni diverse.
Man mano che i pellegrini tornano dalla Terra Santa si diffonde il culto delle reliquie. A quel tempo non si pretendeva che fossero scientificamente testate e andava bene anche che ci fosse un semplice legame con il personaggio agiografico a cui si riferivano o al luogo sacro.
Così per il latte della Madonna o per i chiodi della croce di Cristo, o per il legno della croce. Il corpo cerca il rito e queste cose possono servire per pregare e unirsi maggiormente al Signore. La fede non esiste in cielo (I Cor 13) Sulla terra non esiste la fede allo stato chimicamente puro. La fede è sempre incarnata. Il culto delle reliquie si rafforzò molto nel medioevo tuttavia i medievali sapevano bene che le reliquie venivano prodotte spesso per contatto e per reduplicazione. Non così in età moderna, quando Voltaire poteva parlare con disprezzo di superstizioni (Voltaire, Trattato sulla tolleranza). Attenzione a non scambiare l’esperienza religiosa che abbiamo noi, nella nostra epoca, con l’unica o la migliore possibile. Potremmo diventare meno tolleranti e rispettosi dei dogmatici che volevamo combattere.
Quando i luoghi d’oriente divennero pericolosi per l’avanzata dell’Islam, si svilupparono altri pellegrinaggi a mete sacre tra cui Santiago de Compostela e Roma. Dante Alighieri nella Vita Nova scrisse: “E’ da sapere che in tre modi si chiamano le genti che vanno al servigio dell’Altissimo. Chiamansi Palmieri, in quanto vanno oltremare, là onde molte volte recano la palma; chiamansi Giacobei, in quanto vanno alla casa di Galizia; chiamansi Romei in quanto vanno a Roma” .
Partecipare a qualsiasi viaggio che possa configurarsi come un pellegrinaggio non significa in nessun modo fare una vacanza (da vacuo, vuoto). Significa, al contrario, toccare le corde più profonde dell’essere umano, vibrare di luce, orientarsi-verso, con una identità, con delle attese, con una connotazione, con una ispirazione, con una riconoscibilità, con una vocazione al dialogo e all’ incontro, con un senso di meraviglia. Il pellegrino è l’icona dell’uomo che non ha qua giù una stabile dimora, non ha nulla da difendere, non ha possedimenti da cercare. Tutto ciò che ha sono le sue domande. Questo è l’uomo vero, il vero protagonista della storia è il pellegrino. Per i cristiani Maria è l’icona del pellegrinaggio spirituale, tutta piena di domande, tutta piena di attesa, tutta protesa verso la promessa di un futuro messianico. Alla fine del vangelo sarà Cristo il pellegrino che precede, accompagna e arde nel cuore come Parola viva per ogni discepolo (Lc 24).
Il pellegrino ha una meta, un fuoco, ha un senso, una verità da raggiungere, una via da percorrere, una vita da spendere ogni giorno con la gioia. Parafrasando un principio della fisica, tutto si muove perché c’è un punto fermo a cui il sistema fa riferimento.
Il livello più intimo del pellegrinaggio è quello del cambiamento; ho fatto un pellegrinaggio se al termine del cammino posso dire: “Sono cambiato“. Sono diverso da quello che ero alla partenza, non è cambiato solo il paesaggio geografico ma anche quello interiore, si è evoluto come lo zaino, simbolo del cuore del pellegrino: chi ha lo zaino troppo pesante, tappa dopo tappa, fa una selezione sempre più accurata dell’essenziale e abbandona, giorno dopo giorno, tutto quello che non serve. Quello che non serve ci è di peso e, se vogliamo veramente camminare, lo dobbiamo abbandonare. Cosa custodire gelosamente nello zaino del mio cuore e cosa abbandonare? Dove investire? Dove disinvestire? Per fare questo passo c’è bisogno di umiltà, di sobrietà, di provvisorietà, di nudità benedetta, di limite gioioso, di cambiamento, di conversione.
Pellegrini del terzo millennio
Oggi molte persone si stanno interessando alla possibilità di riaprire i cammini della fede verso Roma, Santiago, Gerusalemme e tante altre mete religiose di ogni continente; questo è un segno dei tempi molto forte, lo dobbiamo leggere e servire con grande impegno. Si cerca una sorta di vacanza alternativa o un pellegrinaggio? Il confine tra le due esperienze può diventare assai incerto e, alla fine, passa per il nostro cuore. Tuttavia la linea di confine esteriore deve rimanere chiara, rischio la banalizzazione e la perdita di senso dell’intera pastorale del pellegrinaggio e dell’accoglienza che sta coinvolgendo sempre più persone e associazioni lungo le vie della fede d’Italia, d’Europa e del mondo.
Queste persone mi interessano.
Come chiese e come istituzioni pubbliche abbiamo molto da fare per allinearci a questi livelli.
Accogliere ovunque i pellegrini che passano (Mt 25,35), riscoprire il ministero dell’accoglienza con una formazione specifica e un mandato ecclesiale. Dare ai pellegrini un luogo, un tempo e dei ministri, anche laici, per la preghiera. Chiese aperte e custodite lungo le vie di pellegrinaggio, con un angolo del pellegrino dove potersi informare; ristabilire il pellegrinaggio a piedi come una proposta ecclesiale vera e propria, in tutte le chiese locali, con dei riti ben definiti, con dei responsabili. Formare delle guide del settore con una conoscenza dell’universo pellegrinaggio per poter capire/guidare dei gruppi di pellegrini a piedi che hanno domande diverse dal turista medio. Realizzare con dei perimetri giuridici e fiscali più chiari i luoghi di accoglienza pellegrina, sia laici che religiosi. Riproporre i simboli del cammino dell’uomo con dei linguaggi artistici anche contemporanei. Si è scritto molto su questo argomento, più timide sono state le arti plastiche. L’artigianato locale può avere un ruolo chiave nella cura del proprio territorio e delle vie dei pellegrini. E’ anche questa un’attivazione della società civile e delle comunità più svantaggiate di cui oggi si parla molto.
Nell’ultimo decennio sono nate spontaneamente molte associazioni con lo scopo di manutenere la sentieristica e il patrimonio sacro minore, senz’altro da incoraggiare. Tra amministrazioni locali e chiese si può collaborare di più su questi registri, nel rispetto delle legittime autonomie.
I pellegrini del terzo millennio ci aprono delle vie di incontro fra popoli e culture, sono vie della pace significative che fanno bene alle persone e alle comunità, ho deciso di impegnarmi in questo servizio.
Buon cammino verso la luce a tutti!